Ulisse McItacus western


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Ulisse McItacus
si stava lisciando la lunga ed ispida barba rossiccia, aveva solo 15 litri d’acqua e la sorgente che in questa terra desertica si trovava a 5 miglia era inagibile, non perché era secca, ma perché occupata da apaches. Per fortuna che aveva un cannocchiale, così inquadrandola scorse del fumo stagliarsi nel cielo, si era fermato, e passando in osservazione cespuglio per cespuglio, vide i cavalli pascolare l’erba rinsecchita e coi cavalli gli apaches
Una trentina almeno, ma i guerrieri erano sì e no una dozzina, le altre persone erano squaws. Di sicuro erano fuggiti da una riserva e probabilmente dal forte più vicino, avevano inviato uno squadrone di cavalleggeri per ricatturarli, ma gli apache sembravano tranquilli, non avrebbero acceso un fuoco così visibile se i soldati fossero vicini, inoltre erano armati di carabine winchester e visto come la cromatura luccicava alla luce del sole, dovevano essere nuove di zecca, qualcuno le aveva vendute e con molte munizioni.
Non potendo rifornirsi d’acqua, dovette ritornare indietro, dove aveva passato la notte, rifare il campo e tenersi nascosto.
Non c’erano ripari dal sole quindi niente ombra, lui stesso ed i due cavalli avrebbero sofferto il caldo bestiale ma sapeva cosa fare per un buon riparo, questa situazione non era nuova, l’aveva affrontata in altre zone desertiche.
Ritornando al punto del campeggio notturno, con una paletta, si mise a scavare nella sabbia per sua fortuna soffice, sino a formare una buca abbastanza profonda e larga per entrarci coi cavalli e tirarci sopra una tela recuperata da un vecchio carro Conestoga, scolorita e sporca da confondersi con la sabbia, che li avrebbe protetti in qualche modo dal sole, ma soprattutto impedito di essere visti da lontano da eventuali altri gruppi d’apaches in arrivo e che sarebbero transitati nei dintorni.
3,5 litri d’acqua il giorno per i cavalli, 1,5 litri per lui, l’acqua sarebbe bastata per 2 giorni e forse 3, ma bisognava per forza rifornirsi al più presto o morire.
La prospettiva di salvezza era articolata in 3 punti: 1° gli apaches, se inseguiti dalla cavalleria non potevano fermarsi a lungo alla sorgente, ma c’erano donne da dissetare e da sfamare, perciò sarebbero rimasti diversi giorni, 2° attaccare, ma bastava un colpo sparato da loro ed era tutto finito, 3° avvicinarsi controvento, evitare i guardiani ed entrare di soppiatto nell’accampamento, prendere l’acqua e fuggire, quasi impossibile per un uomo solo.
Occorreva attendere il più possibile, sino all’esaurimento dell’acqua, sperando nell’arrivo dei nostri entro un paio di giorni, oppure cercare amichevolmente di farsi dare l’acqua, ma i suoi cavalli, le sue armi erano una preda ambita e l’avrebbero ucciso con le torture, ebbene se necessario sarebbe morto attaccandoli sperando in un colpo risolutore.
Come armi aveva diverse pistole, ben 5, una shotgun ed un winchester, erano distribuite sui due cavalli che aveva utilizzato a turno come cavalcature e come bestia da soma; il suo cavallo preferito era il grigio, dal manto grigio topo, sino a quel momento aveva fatto da soma, e quindi era più fresco, il carico arrivava ai 75 kg, mentre lui con armi e 2 borracce ne pesava 90. Con l’altro cavallo, un baio, aveva cavalcato per diversi giorni.
Il caldo era bestiale, bisognava bere a piccole sorsate, e bagnare spesso la bocca ai cavalli che al momento sembravano non risentire della calura.
La tela tirata sulla buca smorzava i raggi del sole e teneva nascosto il suo accampamento agli estranei; ai cavalli aveva dato biada ed avena di cui ne era rimasta ancora un sacco.
Lentamente arrivò la sera e col buio decise di valutare la situazione, sellò il grigio, impastoiò bene l’altro, il baio, ed al passo, senza far rumore si avvicinò di nuovo al pozzo d’acqua sino a tiro del cannocchiale, vide il fuoco e gli apaches che erano seduti in cerchio, doveva avvicinarsi di più, stava per risalire in sella, quando vide un movimento, sentinelle, a 500 iarde dalla pozza ne contò 2, ma dovevano essere in 4, disposte come la rosa dei venti.
Quindi al pozzo erano rimasti solo 8 guerrieri con le donne; puntò il cannocchiale sulle sentinelle e ne vide una, quella a sud che aveva il suo stesso fisico, ed un’idea illuminò la sua mente.
Avrebbe agito la notte seguente, cercando di mettere fuori combattimento la sentinella, poi indossando i suoi vestiti sarebbe andato deciso alla sorgente per bere come un apache, avrebbe riempito le tre borracce ed i due contenitori mentre gli indiani dormivano, se qualcuno si svegliava, non si sarebbe accorto che lui era un bianco poiché si sarebbe avvolto nella coperta di lana tolta alla sentinella assieme ai vestiti, l’unico problema era la barba avrebbe dovuto tagliarla; quando una persona era nel deserto senza acqua doveva sempre tentare la sorte per vivere, se scoperto, avrebbe sparato nel mucchio per vendere a caro prezzo la pelle, l’acqua era la vita o la morte.
Ritornò all’accampamento, e dopo aver badato ai cavalli si avvolse nella sua coperta e dormì profondamente sino al mattino.
Fu svegliato da colpi di fucile e dagli sbuffi emessi dai suoi cavalli innervositi, non vide nessuno,
allora col grigio, senza sella si avvicinò alla sorgente però fuori vista, col cannocchiale vide che erano arrivati altri apaches, il suo piano, non poteva essere attuato, sarebbe morto di sete assieme ai cavalli o combattendo, a meno che dopo questo raduno gli apaches non levassero il campo, l’acqua della sorgente non bastava per tutti, e nemmeno l’erba, inoltre non c’era selvaggina, era solo questione di attendere, ma l’acqua era poca e per resistere qualche giorno in più avrebbe dovuto eliminare il baio e la cosa non gli piaceva, unica nota positiva era che non avrebbe tagliato la barba.
Fece per girare il cavallo, quando vide degli uccelli sorvolare la sorgente, fare alcuni giri e proseguire verso nord, erano dei piccioni selvatici, che non potendo scendere alla sorgente a bere, erano costretti a cercare l’acqua in un altro posto; si allontanarono a nord, notò che non avevano il gozzo gonfio, quindi stavano proprio cercando acqua.
Li seguì a lungo col cannocchiale e vide che andavano verso delle alture che si intravedevano sulla linea dell’orizzonte, gli bastava, laggiù, forse all’insaputa degli apaches doveva esserci una sorgente od una tinaia con acqua, magari putrida ma pur sempre acqua. Ritornò al campo, caricò tutto sui cavalli lasciando solo la tenda, al trotto seguì i piccioni verso le alture che sembravano vicine ma erano ad ore di marcia, gli apaches non potevano vederlo erano a 5 miglia.
Mezz’ ora dopo, rivide i piccioni di ritorno, ora il gozzo era ben gonfio, sicuramente pieno d’acqua da dare ai piccoli, avrebbero fatto diverse volte quel percorso, bastava seguirli, infatti, altri piccioni ed altri uccelli andavano e venivano, l’acqua era dunque su quelle alture.
Alla fine della mattinata giunse all’inizio delle alture, seguendo i piccioni attraversò una gola tra le prime rocce e salì sulla prima collina, e poi su altre che non sembravano mai finire, era com’entrare in un labirinto di saliscendi, per fortuna che i suoi cavalli lasciavano tracce ben marcate.

Le due bestie erano abbastanza fresche avendo sempre mangiato e bevuto, si fermò comunque ad abbeverarli ancora e a riprendere il fiato e poi continuò la salita.
Sul picco più alto, col cannocchiale controllò la strada percorsa, vide chiaramente le orme lasciate dai suoi cavalli, gli avrebbero indicato la strada del ritorno.

Rivide altri piccioni ed altri uccelli scendere ed entrare in un canyon,
li seguì, il terreno cambiò, scorse diversi cactus e cespugli, avanzò, il rumore dei cavalli fece spaventare i volatili che si alzarono in volo da una grotta coperta da cespugli, lì c’era l’acqua.
Si avvicinò, scese da cavallo e vide una tinaia che sporgeva in parte dalla roccia, i rari temporali riempivano la pozza di pioggia, essendo sempre all’ombra si prosciugava lentamente; gli apaches probabilmente sapevano di quest’acqua, ma per raggiungerla, con cavalli esausti, magari dopo un inseguimento, sarebbero rimasti appiedati e non c’era la certezza di trovarla e di averne in quantità, portare bambini e donne su queste alture sarebbe stato mortale.
Sistemò i cavalli all’ombra, prese tutto quanto era necessario per caricare acqua: le 3 borracce ed i 2 contenitori di tela, la pentola, la gavetta per il caffè e preparò il fornello a spirito; vide dei roditori fuggire dalla tinaia, la loro presenza faceva pensare anche alla possibilità che nel posto ci fossero dei serpenti a sonagli ed anche dei coyotes.
Controllò tutto con attenzione, girò in lungo ed in largo facendo rumore, ma non sentì il caratteristico suono dei sonagli, via libera.
Si inginocchiò alla pozza, tolse la sporcizia verdastra in superficie, mise la borraccia nell’acqua e la riempì; riempì anche le altre borracce ed i contenitori, poi portò il tutto presso il fornello, l’accese e mise la pentola sul fuoco, con un pezzo di tela che faceva da filtro, versò l’acqua della grossa borraccia nella pentola, la riempì e la fece bollire, poi la riversò sempre filtrandola nella stessa borraccia.
Appena l’acqua si raffreddò, la diede da bere al baio che fece da cavia, il cavallo la bevve avidamente senza esitazione, l’acqua sembrava buona; rifece diverse volte la filtrazione sino al completo riempimento delle borracce e dei contenitori, ora aveva l’acqua necessaria per arrivare nella vallata dove

si erano stabiliti i pionieri, senza passare dalla sorgente occupata dagli indiani, ma la curiosità per Ulisse McItacus era da sempre la sua debolezza, sarebbe ritornato indietro, ritirato la tenda e poi via verso la prima fattoria, sempre se i coloni erano ancora vivi.
Attorno continuavano a svolazzare gli uccelli bisognosi di bere, ritornò alla pozza e segnò su un pezzo di carta la posizione in cui si trovava la tinaia, una piccola mappa poteva servire in seguito; un luccichio nella pozza attrasse la sua attenzione, mise i guanti, allungò la mano nell’acqua putrida e raccolse dei piccoli sassolini, li osservò e il cuore gli sobbalzò, oro, i sassolini erano pagliuzze e pepite. La pozza era dunque una miniera di pepite, pagliuzze e polvere d’oro depositate lì da millenni; allungò diverse volte la mano, ritraendola sempre con pepite epagliuzze.
Prese un sacchetto di gallette, lo svuotò e vi inserì solo le pepite più grosse, il resto lo ributtò in acqua, poi si tolse gli stivali, si immerse nell’acqua e vide che la tinaia, proseguiva all’interno della roccia, l’oro proveniva da lì, proseguì ed entrò in una grotta e dove l’acqua si era ritirata stavano decine, decine di pepite. Uscì dalla grotta che era stata un fiume sotterraneo e dall’acqua, prese la piccola pala e buttò sassi e sabbia sino a coprire il luccichio che si intravedeva, rifece meglio la mappa, sarebbe ritornato in un secondo momento, ma ora doveva andare.
La banda degli apaches accampata alla sorgente era troppo numerosa, erano quasi tutti guerrieri, si erano riuniti sicuramente per effettuare un grosso raid,
ma non avrebbero disdegnato di assalire un solo cavaliere bianco, perciò il pericolo stava ovunque.
Prese gli stivali e ritornò presso i cavalli, gli uccelli in picchiata si buttarono sull’acqua, si tolse gli indumenti bagnati e si rivesti con indumenti asciutti, controllò i cavalli, si tolse il fazzolettone rosso ormai stinto dal collo e vi avvolse il sacchetto delle pepite, lo rimise al collo, ad ogni passo rimbalzava sulla spalla, ma non gli dava fastidio.
Dopo alcune ore, prima del tramonto, ricaricò i cavalli ma nel muoversi sentì alle sue spalle il tipico rumore dei sonagli, rimase fermo, mosse solamente la testa e vide un grosso serpente a 2 passi da lui, ritratto, pronto ad attaccare, veloce si buttò di lato, sfilò la pistola e fece fuoco ripetutamente sul serpente che colpito, cominciò le sue convulsioni però privo della testa.

I colpi sparati in rapida successione potevano essere rimbombati attorno; da un controllo non vide nulla, in quel posto c’era solo lui, la tinaia con l’acqua, il deserto, i serpenti e… una miniera d’oro.
Iniziò il viaggio di ritorno, le tracce lasciate in precedenza dai cavalli erano visibili, bastava seguirle a ritroso prima che il vento del deserto arrivasse a seppellirle di sabbia; nel frattempo segnava sulla mappa ogni indizio per ritrovare tra le alture la sua miniera che chiamò la miniera del serpente.
Alle prime luci della sera uscì dalla gola dell’ultima altura, la prima che aveva salito, si fermò, scese da cavallo, raccolse delle pietre e le dispose formando un ostacolo a forma di serpente davanti all’entrata del sentiero, come segnale di riferimento.
Il chiarore della luna rischiarava la strada da percorrere rendendo visibili le orme impresse nella sabbia ed un po’ al trotto ed al galoppo ripercorse la strada fatta al mattino.
Ogni 5
miglia si fermava per far riposare i cavalli e per scrutare eventuali nemici ma tutto andò liscio.

3 ore dopo sulla sua destra scorse il relitto di un vecchio carro conestoga, le intemperie e la sabbia l’aveva sommerso sino all’altezza delle ruote, la tenda era ridotta a brandelli, pensandoci bene, poteva essere per lui un’altro punto di riferimento nel deserto, molto probabilmente a metà percorso fra la sorgente e le alture. I coloni del carro, non avevano trovato la sorgente e avendo finito l’acqua erano morti di sete, una fine terribile, ora le loro ossa con quelle dei due cavalli di tiro giacevano sotto un metro di sabbia.
Scese da cavallo, prese le briglie, condusse i due cavalli al carro contando i passi, 350, se fosse ritornato, una volta trovato il relitto, contando 350 passi a destra si sarebbe trovato sulla direttiva per raggiungere le alture il più vicino possibile alla gola che delimitava l’entrata alle alture, bastava trovare l’ingresso bloccato dalle rocce da lui sistemate a serpentina.
Legò le briglie alla ruota posteriore del carro, vi sali sopra, ai lati interni del conestoga c’erano i mobili ancora interi ma ormai marci, tirò a s’è un cassetto che andò a pezzi, facendo cadere tutto il contenuto, aprì i mobili e vide che tutto era in ordine, se ci fosse stato un attacco indiano prima di tutto il carro sarebbe stato incendiato, ma i coltelli con il pentolame ed i vestiti sarebbero stati portati via, erano proprio morti di sete.
In una cassa trovò dei documenti e delle foto, la famiglia si chiamava Karson, ed era composta da 3 persone, sul fondo trovò un cofanetto con una pistola ben oliata ed ingrassata, quasi pronta all’uso con relative pallottole, la cassa di noce aveva resistito e tutto il contenuto si era preservato.
Tenne con sé i documenti, le foto, la pistola colt dragon con il cofanetto ed anche un vecchio fucile hawken che trovò dentro la sua custodia in pelle sotto il sedile del conducente in perfette condizioni.

Riprese i cavalli per la briglia, rifece i 350 passi ritornando sulla pista iniziale, risalì in sella e in piena notte cavalcò nella speranza di giungere nei pressi della sorgente prima dell’alba senza fare spiacevoli incontri.
Ormai era chiaro stava per spuntare il sole, ma la sorgente non si vedeva, procedette al passo, poi finalmente col cannocchiale incrociò la macchia verdastra, erano arrivati altri indiani, contò un gruppo di 20 cavalli e stabilì che c’erano ben 9 gruppi, facevano così 160 guerrieri con 20 squaws.

Troppi, girò sulla destra allargandosi e si diresse dove aveva l'accampamento, il telo teso come tenda era al suo posto, nessuno era venuto sin lì, l’acqua si trovava a 5 miglia di distanza ben fuori della portata dei cannocchiali.
I cavalli erano tranquilli, pertanto si tirò addosso la coperta e prima di cadere in un sonno profondo pensò all’oro e si toccò il fazzolettone, poi pensò ai suoi familiari che lo attendevano da tanto tempo e dormì.

Si svegliò in piena mattina sellò il grigio e si avventurò verso la sorgente, col cannocchiale vide il grosso gruppo d’ apaches attorno all’acqua, alcune donne riempivano gli otri fatti con le budella di animali mentre altre caricavano alcuni cavalli, si stavano preparando alla partenza.
Ci vollero alcune ore, ma a poco a poco se ne andarono, restarono solo un gruppo di giovani guerrieri con una ventina d’otri, capì che avevano l’ordine di prendere più acqua possibile, perché il deserto si estendeva fino a una vallata ricca d’acqua che si trovava a 200 miglia, probabilmente gli apaches si sarebbero accampati a metà strada ossia a 100 miglia; forse non potevano andare direttamente alla valle, ciò stava a significare che in qualche posto c’erano soldati; ecco, i soldati erano il loro obiettivo e ricco bottino, tanti cavalleggeri, voleva dire tanti cavalli, tanti fucili, munizioni e viveri in quantità e tanti scalpi da diventare famosi in tutta l’apacheria. La sorgente vista al cannocchiale, era ridotta ad una pozzanghera i giovani rimasti riempivano direttamente gli otri alla sbocco dell’acqua che usciva in continuazione, però lentamente.
Era inutile aspettare, avrebbe perso solo del tempo, doveva arrivare prima di loro ed avvertire chi di dovere.
Ritornò al campo e smontò tutto, poi si diresse a sud evitando la sorgente ed i giovani guerrieri, continuò alternando il passo veloce col trotto per miglia e miglia senza mai sfinire le due bestie; per superare gli apaches doveva muoversi anche di notte, l’acqua sarebbe bastata per almeno 5 giorni, perciò continuò sino a sera, si fermò un paio d’ore poi ripartì con la luce lunare.
Incrociò una spaccatura della crosta desertica, residuo di qualche terremoto, rimase sulla destra e continuò a cavalcare sino alle prime luci del giorno tenendo così il nemico al di là della fenditura.
Trovò u
na grossa sfaldatura nel crepaccio che gli permise di entrare coi cavalli, scese dentro e li fece abbeverare al riparo del sole, risali e col cannocchiale osservò attentamente tutta la zona circostante; nulla, era solo coi suoi cavalli, ma aveva percorso molte miglia, forse era davanti agli apaches, più avanti doveva riportarsi sulla sinistra della fenditura per arrivare nella vallata, istintivamente si lisciò la barba ispida e folta e si toccò il rosso fazzoletto da collo, le pepite erano lì e gli sfuggì un piccolo sorriso di compiacimento.
A mattina inoltrata riportò sopra i cavalli e continuò a costeggiare la fenditura del terreno per alcune ore, quando questa cominciò ad assottigliarsi;
un ora dopo la fenditura era finita ed il deserto era di nuovo compatto, doveva aver percorso oltre 100 miglia dalla sorgente e secondo lui gli apaches erano accampati nelle vicinanze.
I cavalli trottavano ancora bene e rispondevano prontamente ai comandi anche se il grigio cominciava ad avere troppa bava sul collo, fra poco li avrebbe dissetati, poi avrebbe usato il baio sino a sera ed anche di notte se era necessario, era il meno affaticato, il grigio però era più giovane ed il più veloce, avrebbe recuperato in fretta.
Ricontrollò la zona e scorse in lontananza del fumo all’orizzonte, un grosso bivacco, gli apaches erano laggiù, lui li scorgeva col cannocchiale e loro no, proseguì la sua corsa tenendosi fuori vista, ora doveva spremere i cavalli, ancora 100 miglia, forse meno, 80, in un paio giorni avrebbe raggiunto la salvezza e avvertito i soldati o i coloni.
Per il tratto finale, in caso di necessità avrebbe lasciato libero il baio col suo carico liberandosi di tutto il superfluo, tenendo con se solo le armi e la borraccia grande, così alleggerito ed al galoppo il grigio avrebbe distanziato gli stremati cavalli ap
aches e raggiunto la vallata.
Tra le ultime piante della vallata all’inizio della sabbia desertica si era posizionato lo squadrone di soldati a cavallo al comando del capitano Jeffersoon, si trovavano a 200 iarde dal fiume e ad un miglio della prima famiglia di coloni che abitavano una casa costruita con le pietre del fiume e perciò resistente agli attacchi indiani, una volta in casa i coloni erano al sicuro non dovevano però farsi sorprendere nei pascoli e nella terra coltivata o era la fine.
Il capitano Jeffersoon coi suoi, era appena arrivato, stava inseguendo una ventina di indiani apaches fuggiti dalla riserva di Fort Camp ed era in ritardo, non si immaginava che gli apaches gli stavano venendo addosso, ma soprattutto non sapeva che erano il doppio dei suoi soldati e armati di winchester, le sue guide dovevano guidarlo sino alla famosa sorgente.Ulisse McItacus cavalcando il baio, percorse miglia su miglia, il grigio che ora portava i vettovagliamenti ormai leggeri si era ripreso, l’avrebbe usato l’indomani per l’ultimo tratto; cactus e piccoli cespugli crescevano qua e la, era evidente che si stava avvicinando all’acqua, ma gli apaches era fermi ancora al campo o si erano messi in moto? Sicuramente nella mattinata di domani l’avrebbero visto, fermandosi ogni ora per dissetare i cavalli, il suo vantaggio si era sicuramente ridotto, ma l’avrebbe fatto così sino al tramonto, sempre col baio avrebbe proseguito per tutta la sera.

Gli apaches sapevano dei soldati, i loro scout li seguivano passo per passo,Testa Rossa il loro capo, voleva tendere loro un agguato in pieno deserto, i guerrieri lo tenevano sempre aggiornato. Testa rossa, era così chiamato per via di un copricapo color rosso sangue ed era famoso per il suo odio verso i soldati che molti anni prima avevano distrutto il suo villaggio e la sua famiglia, proprio al comando del capitano Jeffersoon ed ora voleva vendicarsi.
Ulisse McItacus si fermò, gli apaches erano dietro di lui, di quanto non si sa, ma l' indomani sarebbe stata una giornata campale specie se avessero scorto le sue traccie. Si accampò senza accendere i fuochi, col cannocchiale non scorse nulla solo deserto, per ora era ancora solo, sarebbe partito in groppa al grigio, avrebbe portato anche il baio, ma se doveva fuggire l'avrebbe lasciato al suo destino.
Riposo diverse ore, appena sveglio, cercò di vestirsi in modo da sembrare almeno da lontano un apache e ripartì prima dell' alba; davanti a lui c'era la salvezza, dietro il nemico, ancora accampato, avrebbe percorso le ultime miglia al trotto ed al galoppo.
Testa Rossa. nel frattempo, aveva inviato dei giovani guerrieri per valutare la situazione e senza saperlo questi galoppavano sulla stessa linea di MacItacus,
ma non avendo cannocchiali non lo vedevano.
Ad un certo punto, un nuovo crepaccio fece fare una deviazione verso nord e MacItacus si avvicinò senza volerlo ai guerrieri, uno di loro vide la polvere sollevata dai due cavalli, uscì dal gruppo dirigendosi verso lo sconosciuto cavaliere, che l’aveva inquadrato nel cannocchiale, il giovane si accorse però troppo tardi del travestimento ed era giunto a tiro di pistola e dello shotgun, puntò il winchester, ma una gragnucola di pallini sparata dallo shotgun lo investì buttandolo a terra, il colpo era risuonato fortissimo e gli altri guerrieri, si misero a cavalcare verso il nuovo venuto, uno di essi si fermò, girò il cavallo e ritornò verso l’accappamento.
Ulisse MacItacus si lanciò direttamente sopra di loro, il travestimento ingannò anche loro, così potè usare nuovamente lo shotgun gettando dalle selle gli altri, l’ultimo rimasto sparò ma sbagliò, una scarica di colpi con la colt lo eliminò.
Il grigio era lanciato al galoppo, il baio lasciato libero li seguiva, gli spari lo avevano spaventato e così seguiva il suo padrone più per paura che per devozione.
A spron battuto si buttò in mezzo ai cactus ed ai cespugli che continuavano ad aumentare, poi si trovò davanti altri apaches, gli scout di Testa Rossa che pedinavano lo squadrone, sorpresi, a loro volta, vennero travolti e tempestati di colpi, lo shotgun e le colt aprirono un varco in cui penetrò, i guerrieri rimasti allibiti e disorientati lo lasciarono passare cosicché al galoppo sfrenato si trovò in vista della vallata, sparò due colpi dello shotgun levandosi il travestimento e vide uscire dalle prime piante dei soldati che con i loro fucili impegnarono il nemico.

Appena superato la linea dei soldati scese di cavallo, riprese il baio che lo aveva seguito ed all’ufficiale che si presentò riferì che un folto gruppo di apaches era molto vicino.
Il capitano Jeffersoon diede immediatamente l’ordine di disporsi per prevenire un attacco ed inviò le guide a visionare il tratto di deserto.
Le guide ritornarono dopo un paio d’ore e riferirono che circa 200 apaches al comando di Testa Rossa stavano arrivando.
Il capo guerriero, non potendo più contare sull’agguato, aveva deciso di attaccare e portò in avanti tutti i 200 guerrieri.
Quando 2 ore dopo giunsero in vista delle prime piante, metà scesero di cavallo ed attaccarono a piedi, gli altri iniziarono un tourbillon sparando e urlando.
La prima ondata fu falciata dal fuoco dei soldati nascosti tra i cespugli e le piante e così anche una seconda ondata.
Non disponendo di carabine automatiche, i soldati disposti su 2 file sparavano
alternativamente ed in modo continuo, gli apaches sotto un fuoco devastante iniziarono a retrocedere e dopo che l'eroico Testa Rossa che cavalcava davanti a tutti rimase colpito a morte, furono costretti a fuggire.
Molti di loro non avendo più un capo si dettero per vinti e si arresero con le donne.
Il capitano Jeffersoon fece uscire 3 drappelli di 15 uomini ciascuno per catturare i fuggitivi, ma ormai era fatta. Testa Rossa era morto e gli apaches in fuga, con cavalli stremati non avrebbero mai raggiunto la sorgente dove diversi giorni prima erano accampati, forse solo qualcuno ci riuscì, gli altri furono fatti prigionieri e subito per via del caldo, si iniziò a seppellire i morti, tra i soldati solo qualche ferito, la campagna era finita e sarebbero ritornati al forte dopo aver riportato i nemici catturati nella nuov
a riserva. Il capitano Jeffersoon si congratulò con McItacus ringraziandolo per avergli evitato di cadere in un imboscata e poi soggiunse: se lei è Ulisse McItacus sappi che la sua famiglia la sta cercando da molto tempo, si rifaccia vivo per rassicurarli.
Con un cenno affermativo Ulisse salutò i soldati, raggiunse la famiglia di coloni più vicina, dove trovò ospitalità, cibo e acqua in abbondanza e nuove scorte per proseguire il cammino.
Il capo famiglia disse di chiamarsi Karson, al chè Ulisse riferì del carro distrutto trovato nel deserto a pochi miglia della sorgente e quando Karson disse che era la famiglia di suo fratello, gli consegnò i documenti le foto e le armi trovate e fece una mappa per rintracciare il carro. Karson voleva ricompensarlo, ma Ulisse, istintivamente toccò il fazzoletto attorno al collo e tastando le pepite disse: Iddio mi ha ricompensato salvandomi dal morire di sete e dagli indiani e… la fortuna aiuta gli audaci.
2 giorni dopo risalì a cavallo, il figlio maggiore di Karson, Jacop, gli porse un libro e disse: qui è scritto che la signora Penelope attende con ansia il ritorno di suo marito, perciò ritorni al più presto in famiglia.
Ridendo Ulisse agitò lo stetson e salutando tutti ripartì gridando: A presto….
L’ Odissea non era ancora finita.

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