Fort Macallè: l'avamposto perduto






Raccontino di pura fantasia ambientato attorno a



Fort Macallè.







Italiani ed Ascari insieme.




Dall’alto della collina, il Sergente Maggiore, osservava col binocolo il grande accampamento nemico, formato da decine di migliaia di tende, disposte ai lati del fiume che attraversava tutta la valle. Tutti i Ras Abissini avevano riunite le loro forze al comando di Ras Maconnen e del Negus Menelik. fuori dal campo, migliaia di cavalli pascolavano ormai la poca erba rinsecchita rimasta. Tra qualche giorno l’intero accampamento si sarebbe trasferito e tutti gli indigeni delle varie tribù Abissine ed alleate si sarebbero incamminate verso Macallè, dove c’era la più vicina guarnigione Italiana.
Il Sergente Maggiore aveva il comando di un avamposto Italiano, il 3 nei pressi di un villaggio indigeno, ed aveva con sé nove uomini. 3 soldati italiani , un Capo ascaro con 5 ascari.
Davanti a loro, distanti una 50ina di km. altri 2 avamposti, i rapporti e le segnalazioni settimanali non arrivavano da giorni, ormai non si sapeva più nulla, la fiumana nemica aveva spazzato via tutto e probabilmente anche i villaggi da loro protetti.
A differenza degli altri soldati di fanteria, avevano a disposizione cavalli e muli per aver la massima mobilità e poter controllare un ampio del territorio..
Tutto era andato bene per qualche anno, avevano familiarizzato con gli indigeni che con i contributi Italiani avevano potuto aumentare i loro greggi, ma ora la rivolta era incontenibile, i vari Ras avevano riuniti più di centomila uomini e la loro avanzata avrebbe ributtato a mare gli Italiani, ma prima dovevano conquistare Macallè e qui erano diretti. Era solo questione di giorni.
Il Sergente indietreggiò, raggiunse il cavallo e si allontanò, dirigendosi al villaggio, poi avrebbe deciso cosa fare. Uno sparo risuonò nell’aria sollevando un pugno di polvere davanti a lui, così incitò il cavallo ed al galoppo rispose scaricando la pistola, dal suono dello sparo aveva capito che si trattava di un moschetto ad avancarica e che quindi non c’era pericolo di un immediato secondo colpo. In più il cecchino doveva essere solo e senza cavallo, altrimenti sarebbero stati guai.
I cavalli che avevano in dotazione, erano migliori di quelli nemici, inoltre mangiavano biada ed avena e quindi in caso di fuga avrebbero facilmente distanziato qualunque inseguitore.
Occorreva avvisare il comandante di Fort Macallè, ma aveva ancora uno o forse 2 giorni di vantaggio prima che l'orda immensa si mettesse in moto, inoltre sapeva che diplomatici Italiani cercavano di patteggiare col nemico e poteva succedere di tutto.
Col cavallo rifece il sentiero che lo portava all'avamposto che distava una 20na di km.; nel pomeriggio inoltrato giunse al villaggio dove un soldato con 2 ascari erano di ronda, la gente del villaggio era sulla strada ed attorniavano un mendicante che parlava loro.
Il Capo degli ascari, lo avvertì che il mendicante era una spia e stava incitando la gente alla ribellione così avrebbero avuto salva la vita. Chi era amico degli Italiani invasori subiva una brutta sorte.
Il Sergente riunì gli uomini, avvertendoli del pericolo imminente e temendo di subire un attacco da parte degli indigeni del villaggio, prese in pugno la situazione, fece arrestare il mendicante rinchiudendolo in un locale adibito a cella, mettendogli le manette per sicurezza e con gli uomini disposti a ventaglio requisì tutte le armi da fuoco che c’erano nel villaggio, suscitando qualche ira, pagò con il denaro della cassa tutte le pistole e le relative munizioni,, mentre per i vecchi moschetti, disse loro che li avrebbe restituiti, tranquillizzando la gente.
Distribuì fra i suoi uomini le varie pistole " acquistate", in modo che oltre al fucile, potevano disporre in caso di un agguato ravvicinato, di un volume di fuoco più potente, le pistole avevano 5 colpi, perciò in un attimo sparavano 50 colpì, una scarica micidiale.
Prese altri contanti ed uscì. Accompagnato da 4 ascari, percorse in lungo ed in largo l’intero villaggio, parlò con calma alla gente, dimostrando di non aver paura. Consegnò ai più bisognosi del denaro, che tra l’altro era previsto negli ordini scritti che aveva ricevuto, e disse loro di stare ben tappati in casa quella sera, i suoi uomini avrebbero sparato a vista.
Così fu, nell’ultimo giro di ronda gli riferirono che tutta la gente era chiusa in casa e che regnava il silenzio.
Dopo aver cenato, riferì ampiamente agli uomini che bisognava abbandonare l’avamposto e diede disposizioni in merito. Mise le sentinelle al loro posto come ogni sera e con gli altri iniziò a preparare i cavalli ed i muli per la ritirata.
Il Capitano del Genio che a suo tempo diresse la costruzione degli avamposti, aveva anche previsto una via di fuga, questa consisteva in un vecchio sentiero di capre, posto alcuni metri sotto le mura dell'avamposto, che venne allargato per agevolare il passaggio di un cavallo per volta o di un mulo con relativo carico. Al sentiero, si accedeva tramite un varco che era chiuso da una staccionata, questa essendo all’ombra. veniva usata durante il giorno come "corral" per i cavalli e i muli che alla sera venivano però rinchiusi nell’apposita stalla.
Il sentiero, veniva ripristinato ogni mese togliendo o bruciando le erbacce spinose per renderlo agibile in qualunque momento, in ogni caso nessuno del villaggio aveva usato quel sentiero per paura dei serpenti, però sapevano che c’era e potevano averlo detto a qualcuno.
Il sentiero confluiva in un canalone che durante le piogge diventava un ruscello e s’immetteva nel fiume a valle, lo stesso, sul quale 20km. più in là erano accampati i nemici e che attraversava tutta la vallata sottostante.
Proprio nei pressi di questo accampamento, una serie di cascate rendevano il percorso non agibile per uomini a cavallo, quindi gli Abissini dovevano per forza passare dal villaggio, ma quella notte, il Sergente ed i suoi uomini se ne sarebbero andati per il sentiero e scendendo lungo il canalone, avrebbero raggiunto il guado e la strada in terra battuta o quel che ne era rimasto, strada che portava a Macallè attraverso un terreno erboso (savana) e montagnoso.Il picco più alto era chiamato : il passo del Leone.
Un soldato con due ascari, terminarono di preparare tutti i cavalli e dopo aver caricato i due muli, attesero l’oscurità.

Rimossero la staccionata, scesero sul sentiero con tutte le bestie ed in silenzio rimasero ad attendere gli altri, davanti a loro un ascaro, munito di lanterna li aveva preceduti per segnalare eventuali intralci.
Gli altri dell’avamposto, fecero un ultimo giro per il villaggio, facendo sentire la loro presenza, poi dentro all'avamposto accesero il camino con un bel fuoco, che tenne illuminata la finestra che dava sul villaggio ed un soldato,bravo con la fisarmonica a bocca seduto su una panca esterna, si mise a suonare come se niente fosse, mentre all'interno in silenzio si raccoglieva tutto quanto si poteva portar via, per prima cosa la Bandiera che fu tenuta dal Sergente.
Unico testimone il mendicante spia, ammanettato ed imbavagliato che ovviamente non poteva dir nulla. Sarebbe stato condotto oltre al guado e lì rilasciato.
Poi soldati ed ascari, ad uno ad uno, scesero sul sentiero e seguendo i segnali luminosi fatti con la lanterna iniziarono la ritirata.
Gli ascari erano appiedati, ma essendo abituati a compiere di corsa ampi spazi non davano problemi, in caso di necessità salivano in sella dietro i soldati e sui muli.
All’avamposto, rimase solo il soldato che suonava ed il Sergente ed un ascaro posto vicino alla staccionata, quando questi, lì avvertì che tutti stavano sul sentiero, fecero un ultimo giro per il villaggio, nel silenzio, si sentirono in lontanaza i rumori caratteristici dei cavalli al trotto, il cecchino che aveva sparato al Sergente, aveva avvertito qualcuno che a sua volta aveva inviato in avanguardia dei cavalieri. Rientrarono, chiusero la porta principale ed uscirono dalla posteriore, girarono intorno alla staccionata che era stata rimessa a posto, e sistemarono delle granate che sarebbero esplose alla sua rimozione, poi senza fare rumore raggiunsero gli altri.
Nel massimo silenzio tutti si allontanarono a piedi tenendo i cavalli ed i muli per le briglie, percorsero tutto il sentiero, raggiungendo il canalone, salirono in sella ed al passo, lo discesero avendo come punto di riferimento la luce della lanterna dell'ascaro che li precedeva a passo veloce.
Arrivarono lentamente al fondo valle, poi al trotto arrivarono al fiume, lo seguirono per alcuni Km sino a raggiungere il guado.
In quel momento le granate presso la staccionata esplosero. I cavalieri nemici, trovarono l’avamposto sguarnito, lo incendiarono, e nel rimuovere la staccionata che precludeva la via di fuga, inavvertitamente fecero esplodere le granate nascoste, le urla di dolore e di rabbia si sentirono sino al guado. Per rallentare l'inseguimento, il Sergente aveva disposto con cura delle granate anche nel canalone e si sarebbero sentite altre esplosioni se il nemico non avrebbe prestato attenzione. L'avamposto 3, era stato la Santa Barbara dei 3 avamposti perciò le granate abbondavano.
Il Sergente e gli uomini istintivamente guardarono verso l’alto, con rincrescimento videro le
fiamme divorare quello che era stato il loro rifugio per molti mesi, ma ormai non restava che guadare il fiume e allontanarsi più in fretta possibile senza affaticare i cavalli.
Dopo aver attraversato a fatica il fiume, riempiti gli otri e le borracce, si allontanarono al piccolo trotto con gli ascari che correndo dettavano il ritmo; alcuni Km. dopo, il Sergente fece fermare il piccolo gruppo, tolse le manette al prigioniero dandogli solo dei viveri, avrebbe raggiunto il fiume, ritornando sui suoi passi, lì c'era tutta l’acqua che voleva per sopravvivere.
Poi fece salire gli ascari sui muli e sui cavalli, ed al passo si allontanarono, la nuvola di polvere sollevata non era visibile per l'oscurità, poterono così allontanarsi indisturbati, sperando che altre esplosioni avrebbero contribuito a ritardare di molto la marcia del nemico.
Avevano già percorso diversi km. quando udirono dei piccoli boati, i loro inseguitori erano incappati nelle granate disposte a metà del canalone, ora potevano contare su diverse ore di vantaggio e solo pochi cavalleggeri avrebbero potuto raggiungerli, nel canalone poteva passare un cavaliere per volta. La marcia continuò fino a mattina inoltrata, quando trovando una grossa pianta d’acacia, a metà del percorso d’avvicinamento ad un altura che stava davanti a loro, si fermarono ed all'ombra della grossa pianta fecero riposare le bestie, mangiarono e si dissetarono, attendendo il calare del sole, per riprendere il cammino con una temperetura più bassa consci che gli "altri" avrebbero ridotto lo svantaggio, poi una volta raggiunto in cima all'altura, il passo del Leone, avevano ancora un lunghissimo tratto quasi tutto pianeggiante fino a Macallè.
Il Sergente scrutava col binocolo tutta la zona retrostante e non vide nessuno, al ché, uno dei soldati affermò che ormai erano in salvo e che la strada era sicura.
Il Sergente scosse la testa, e fece parlare il Capo degli ascari che disse: il vero pericolo verrà dopo il passo del Leone, perché nel vasto pianoro seguente, vivevano coi loro armenti diverse famiglie di nomadi, che pur di impadronirsi dei cavalli e delle armi, li avrebbero attaccati in qualunque momento del giorno o della notte, bisognava stare in guardia, per non ritrovarsi con la gola tagliata o con qualche pallottola in corpo, sparata da vecchi moschetti e fucili ad avancarica.
Unica consolazione, l’acqua si trovava abbastanza facilmente, grosse pozze d’acqua salmastra erano sparse dovunque, l’erba alta (savana) poteva nascondere anche dei leoni, l’ambiente era ostile e dovevano proseguire sempre in stato di all’erta.
Quando erano stati costruiti gli avamposti, si era mosso un intero battaglione, i nomadi che a volte formavano per vincoli di sangue dei veri e propri Clan avcevano paura, ed i leoni, erano rimasti rintanati, ma adesso un gruppetto piccolo come il loro, faceva gola a tutti, perciò occorreva tenere bene gli occhi aperti.
Appena il caldo divenne sopportabile, gli uomini si mossero, salirono verso il passo del Leone, che raggiunsero facilmente, in fila indiana. Al riparo tra rocce e cespugli spinosi si fermarono per un controllo della situazione, il Capo degli ascari ritornò indietro, dal picco più alto del passo del Leone vide che alle loro spalle, all'orizzonte si era alzata della polvere, poteva essere il vento o l’avanguardia nemica.
Dall’altra parte, il Sergente controllava il pendio senza vedere nessuno, strada libera? Solo alle prime oscurità si poteva dirlo, si sarebbero allora visti i fuochi accesi da qualche clan di nomadi, sicuramente posto vicino ad una pozza d'acqua coi loro greggi.

Al rapporto del Capo ascaro sulla polvere vista, il Sergente, rivolgendosi agli altri disse: Vediamo quanti sono, se sono solo qualche decina, possiamo contenerli con le armi, qui siamo al riparo, coi loro corpi e con quelli dei cavalli possiamo occludere il passo, in ogni caso decise di sistemare proprio in cima al passo del Leone, nella strettoia le ultime granate per rallentare ulteriormente la marcia degli inseguitori. Per aver ridotto il vantaggio i cavalieri, probabilmente avevano percorso ad alta andatura 40/50 km. magari usando due cavalcature, quindi dovevano avere i cavalli esausti e forse erano a secco d’acqua. Bloccandoli al passo, coi cavalli esausti e senz'acqua, sarebbero diventati a loro volta una preda più facile per i gruppi dei nomadi.
I cavalieri nemici, giunsero alle prime ombre della sera, appena furono a tiro dei fucili Italiani, furono sottoposti ad un fuoco continuo e mortale, dovevano salire in fila indiana lungo il passo del Leone e stavano subendo perdito continue.
I primi ad essere colpiti furono i cavalli, i loro corpi con quelli dei loro cavalieri ingombrarono il passo, perciò non potendo continuare si dovettero fermare ed indietreggiare.

Il Sergente vedendo la difficoltosa ritirata, fece avanzare lentamente i suoi uomini sparando a vista, prima coi fucili e poi con le pistole, e mentre aumentavano le grida e le urla del nemico che fuggiva disordinatamente, ordinò di ritornare ai cavalli e riprendere la marcia. In cima al passo lcomunque sistemarono le ultime granate.
Un soldato, l’unico ad essere rimasto coi cavalli del drappello, aveva controllato la strada da percorrere ed al momento era libera.
Il Sergente con calma tenendo per le briglie il suo cavallo iniziò la discesa seguito dagli altri, a piedi scesero dal passo sino alla pianura, però il Capo ascari con 3 suoi uomini rimasero sulla cima per bloccare un’eventuale ripresa dell’inseguimento, poi vedendo che passare tra i corpi dei cavalli era difficoltoso se non impossibile per i nemici, appena fu avvertito che gli altri erano nella pianura, arretrò velocemente e di corsa discese con i 3 ascari, si riunirono,risalirono sui cavalli e sui muli e si allontanarono al trotto.
Non vedendo inseguitori, rimisero i cavalli al passo e con gli occhi ben aperti entrarono nel mezzo della cosidetta savana.
Continuarono fino alle prime luci dell’alba senza vedere un fuoco, ne sentire un rumore, benché ogni tanto, qualche ruggito lontano metteva i brividi ed innervosiva i cavalli.
Cercarono un riparo sotto le fronde di un'altra acacia, fecero dissetare e riposare le bestie e mangiarono, attorniati da un silenzio assoluto, come se la strada da percorrere fosse deserta.
Il Sergente col Capo ascaro fece un nuovo controllo accurato del territorio, mandò qualcuno in avanguardia, ma tutto sembrava a posto. Fu allora che esplosero le granate, uno scoppio, poi altri smorzati, gli inseguitori erano giunti in cima al passo del Leone, molto probabilmente appiedati, i nemici per riprendere l’inseguimento, dovevano nuovamente liberare la strada dai corpi dei cavalli, ci sarebbe voluto del tempo se non ore, poi dovevano per forza trovare l’acqua, oppure attendere altri cavalieri; a questo punto il vantaggio della pattuglia italiana sarebbe aumentato e salvo imprevisti entro due giorni sarebbero stati alla guarnigione di Macallè.
Quel giorno percorsero molti Km. le bestie non davano segni di stanchezza, infatti i soldati avevano cura nel farle riposare ed ad alternare il passo al trotto, se inseguiti, al galoppo avrebbero distanziato tutti senza problemi, ma ora dovevano accamparsi per rifocillarsi e poi con le tenebre, di nuovo in marcia, col fresco della notte.
L’oscurità ed il fresco fece riprendere la marcia al drappello, davanti, pistole alla mano stavano a turno un soldato o un ascaro, bisognava stare all’erta.
Fu così che scorsero un bagliore in lontananza, il Sergente trasse il binocolo dalla custodia e vide un fuoco attorno al quale bivaccavano diversi uomini, chiedendo il massimo silenzio, ordinò di raggirarli sul lato destro per oltrepassarli, scesero da cavallo e percorsero circa un paio di Km a piedi, poi risalirono in sella e l’uomo che doveva stare all’avanguardia, ora passò in retroguardia, in testa al gruppo si mise il Sergente stesso.
Continuò così per alcune ore, quando all’improvviso, l'abbaiare di un cane portò alla scoperta di un altro bivacco seminascosto e quando il cane si avventò sui soldati il guaio era fatto.
I nomadi allarmati non sapendo con chi avevano a che fare, si misero a sparare alla cieca nella direzione presa dal loro cane.
Il Sergente ordinò ai soldati di rispondere al fuoco solo coi fucili indirizzando i colpi sui lampi che si intravvedevano, nel giro di un minuto si scatenò un putiferio, i soldati al galoppo passarono ai lati del bivacco, scaricando le pistole misero in fuga i nomadi, ma purtroppo uno degli ultimi spari, colpì l' ascaro che era sul mulo, che però riuscì a rimanere in sella e ad allontanarsi con gli altri.
Il Sergente si fermò con due ascari a tiro di fucile, e coprì la ritirata scaricando ripetutamente i fucili sul fuoco del bivacco e sulle ombre che s’intravedevano, nella speranza di impaurirli, facendoli desistere dall'inseguimento; dopo di ché rientrarono e tutti al trotto si portarono fuori tiro, si fece una breve sosta per bendare il ferito che non era grave, poi via.
Gli echi degli spari e le grida, erano risuonati nel silenzio della notte, perciò molti nomadi ora erano all’erta, per questo motivo continuarono al trotto per diverse ore.
Si fermarono sia per curare il ferito che per far riposare i cavalli ed i muli, dell’acqua ne avevano, ma era meglio rifornirsi alla prima pozza che avrebbero trovato.
Il Capo ascaro, era sicuro che una grossa pozza era ad una decina di km. ma disse:Poteva essere occupata da qualcuno.
Se c’è qualcuno, rispose il Sergente dobbiamo passarci sopra, prendere l’acqua ed andarsene.
Ma non andò così, i soldati dopo aver raggiunto la pozza che aveva diverse tende disposte intorno, entrarono nel piccolo accampamento alla carica, dalle tende e dal pascolo però non venne alcun sparo, dalle tende uscirono diversi uomini armati, ma nessuno sparò.
I soldati si fermarono alla pozza, e mentre il Capo ascaro col Sergente parlavano ai nomadi, i soldati riempirono le borracce ed alcuni otri d’acqua; l'uomo più anziano, dopo aver parlato con l'ascaro fece un cenno e disse qualcosa, delle donne si presero cura del ferito, sotto gli occhi delle altre e dei bambini, che nel frattempo erano usciti all'aperto, forse per questo i nomadi non avevano sparato, in ogni modo stettero all’erta.
Il Sergente, informò della situazione il capo villaggio, la sosta si prolungò per diverse ore permettendo a tutti i soldati di riposarsi, addirittura di cantare qualche canzone al suono della fisarmonica, però un soldato ed un ascaro a cavallo erano di sentinella lontani dai rumori dell'accampamento per prevenire eventuali sorprese. Le due sentinelle, munite di cannocchiale quando videro dei cavalieri in arrivo, al galoppo raggiunsero il bivacco e diedero l'allarme.
Il Sergente parlò col capo clan definendo un accordo per la difesa, fece allontanare dal fuoco e dal pozzo tutto il drappello, che giunto al termine della vegetazione, al riparo dei palmeti e dei cespugli si disposero per la difesa. I nomadi si sparpagliarono fra le tende, le donne ed i bambini si dispersero in mezzo alla savana, quando arrivarono i cavalieri nemici, questi non sapendo della presenza dei soldati, decisero di attaccare l’accampamento era sempre un bottino,, ma dalle tende e dai cespugli decine di fucili e di moschetti spararono, in breve l’aria risuonò di spari e grida mentre le donne ed i bambini erano lontani. Gli invasori dovettero fuggire, lasciando sul terreno decine di morti. Poi un attimo di silenzio invase il campo, quindi si levarono grida di gioia, i nomadi stavano depredando i morti com'era d'uso nelle guerre. Nel silenzio che seguì, il Sergente sparò un colpo in aria e uscì dal nascondiglio, fece un saluto ricambiato dal capo Clan e riprese la fuga verso Macallè che si trovava ora ad un giorno di distanza.
Diversi giorni prima, il comandante della guarnigione, aveva parlato con degli informatori del posto, che lo avvertirono della marea d’uomini in arrivo, ma non sapevano nulla sui 3 avamposti, così furono dati per distrutti ed i soldati massacrati.
Il Capitano dei Genieri che qualche anno prima aveva costruito gli avamposti, assicurò che per il 3 avamposto era stata preparata una via di fuga, ma visto che non era arrivato nessuna staffetta, i soldati e gli ascari dovevano essere davvero tutti morti o peggio prigionieri.
I tre avamposti, sebbene lontani fra di loro, decine di km, essendo provvisti di cavalli, si tenevano in contatto inviandosi delle staffette ogni settimana.
Nei giorni stabiliti, in simultanea partivano i cavalleggeri che s’incontravano a metà strada, si consegnavano i messaggi e poi ritornavano al loro avamposto. In caso di fatti gravi, il 3 avamposto inviava immediatamente delle staffette a Macallè per informare il Maggiore comandante, ciò era avvenuto ben poche volte.
Il 3 in particolare faceva da Santa Barbara, aveva medicinali e teneva la Cassa contanti, fornendo a richiesta le munizioni, i medicinali, ed il denaro occorrente per la paga degli ascari e per la popolazione bisognosa dei tre villaggi.
Qualcosa doveva essere capitato, nemmeno un messaggero era giunto a Macallè, quindi sembrava proprio che tutto era perduto.
Ma come abbiamo visto non era così, gli uomini del 3 avamposto, sebbene con un ferito non grave, erano ormai a poche ore di distanza, il ritardo nell'invio di staffette per segnalare a Macallè la gravità della situazione era dovuto al fatto che quelle del 2 avamposto non erano mai arrivate ed il Sergente aveva aspettato sino all’ultimo, e solo dopo aver visto di persona il grande ammassamento nemico col suo binocolo, prese la decisione di abbandonare l’avamposto, con tutte le vicissitudini che sappiamo.
Mentre scendeva la sera, al suono della tromba veniva ammainata la bandiera, il Sergente coi suoi uomini si preparavano per l’ultimo bivacco.
Ormai erano al sicuro, i nomadi in fuga, non erano un pericolo, sapevano dell'arrivo imminente di oltre centomila uomini ed ora scappavano verso i monti lontani, per salvare le famiglie, i greggi e la loro stessa vita.
Nel silenzio notturno si sentivano lontano le grida stridule degli sciacalli ed il ruggito dei leoni, ma la notte passò tranquilla e di mattina presto iniziò la cavalcata finale verso la meta ambita: Macallè, dovevano ancora aggirare un versante montagnoso per veder dal suo picco il Forte e la cittadina.
Dietro di loro nessuna polvere, né rumori, nulla, la strada era libera e sicura, presto tutto sarebbe finito, ma anche il sogno Coloniale Italiano, perché nessuno avrebbe potuto fermare la marea d’uomini che sarebbe arrivata fra due o tre giorni.
Le truppe Italiane, erano sparse nell’immenso territorio, la guarnigione più vicina e consistente si trovava a Macallè, erano tutti appiedati (fanti) non potevano competere con la cavalleria nemica e nemmeno ritirarsi. Fort Macallè, ora rappresentava l’ultimo avamposto, ma quanto avrebbe resistito, sarebbero stati tutti massacrati e addio Patria.
All’alba il Sergente ordinò di muoversi, dovevano aggirare il versante per concludere la ritirata, ancora qualche ora di sole e poi…..
Sempre all'alba a Macallè risuonò l’adunata mattutina per l’alza bandiera, poi il comandante predispose l' invio di gruppi a cavallo con l’ordine di non allontanarsi troppo e di segnalare immediatamente l'arrivo di nemici.
Una delle pattuglie, 3 uomini, si diresse verso il versante in cui stava convergendo anche il drappello del Sergente.
Dopo alcune ore, sotto la calura infernale, i 10 fuggitivi finalmente aggirarono il versante montagnoso, all’improvviso si trovarono davanti la sagoma di Fort Macallè che spiccava dall'alto, sulla'ononima cittadina, tutti si fermarono estasiati e felici, ma lo schiocco della frusta del Capo ascaro indirizzò lo sguardo del Sergente verso una sottile linea di polvere che si sollevava ancora lontana ma davanti a loro.
Il Sergente tolse il binocolo dalla custodia, osservò tutta la zona indicata, vide un gruppo di 3 uomini a cavallo che si stava muovendo nella loro direzione, erano Italiani, ma vide anche un luccichio sottostante su cui puntò il binocolo, sotto di loro nascosti fra le rocce, c’erano in agguato diversi nemici, i 3 cavalieri Italiani erano in pericolo, l'agguato era per loro.
Il Sergente fece scendere da cavallo gli uomini, li fece appostare su un lato del versante, pronti a far fuoco sugli uomini in agguato, il crepitio dei fucili, al momento opportuno avrebbe avvertito gli Italiani che si sarebbero fermati fuori tiro.
I 3 cavalieri si avvicinavano inconsapevoli di tutto, ma erano fuori dalla portate dei moschetti, il nemico però si stava preparando a sparare, il Sergente li precedette sparando un colpo su di loro e dando avvio ad una sparatoria serrata, i 3 cavalieri si fernarono ed il capo stava osservando ciò che stava succedendo.
Con un volume di fuoco serrato, i soldati e gli ascari martellavano i nemici che rimanevano imbottigliati fra le rocce, con i loro moschetti non potevano contrastare il lungo tiro dei fucili e così sparavano a vuoto venendo eliminati ad uno ad uno; poi anche gli uomini della pattuglia fecero fuoco contro di loro. Gli spari incrociati fecero effetto e solamente un paio di nemici sopravvissuti si arresero.
Indi i 2 gruppi si unirono per congratularsi a vicenda mentre altre pattuglie avendo sentito gli spari si stavano avvicinando.
Un cavaliere, fu inviato al forte per informare il Comandante della situazione, lo stesso Maggiore andò incontro ai soldati e vedendo tutti gli uomini del 3 avamposto esclamò: Vi facevamo morti e sepolti, è un miracolo vedervi. Il Sergente lo informò della brutta situazione, il Maggiore alfine disse: Se il nemico è così numeroso, siamo perduti, non ci resta che resistere il più a lungo possibile, nessuno verrà ad aiutarci, possiamo salvare l’onore combattendo fino all’esaurimento delle scorte, ma ora andiamo al forte a festeggiare il vostro ritorno ve lo siete meritato.
Al forte entrarono da trionfatori, ma quando si sparse la notizia dell’imminente arrivo di oltre 100mila uomini, l’allegria si spense.
Alla sera davanti alla bandiera, il comandante ringraziò gli uomini del 3 avamposto e disse a tutti gli ascari della guarnigione che erano liberi di ritornare alle loro case, perché in caso di cattura sarebbero stati torturati.
Solo pochi di loro lasciarono il forte, quelli che avevano famiglie numerose, anche perché costretti dal Maggiore, gli altri rimasero, il legame d’amicizia e fedeltà verso i soldati Italiani era troppo forte e preferivano restare a Macallè per dividerne la sorte.


Questo racconto è pura fantasia, ma Fort Macallè, chiamato in seguito Fort Galliani dal nome del suo comandante fa parte della storia come le guerre coloniali dell’Italia.

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